epopea del carbonio seconda parte

Pubblicato il 07 Lug 2006


epopea del carbonio seconda parte
Il 1999 si chiudeva così con la vittoria della prima Serpilonga.
Quella fu l'ultima gara che feci in sella ad una Fiocco. nello scantinato di casa naturalmente il lavoro sull0 stampo del nuovo telaio era già a buon punto. Il buon Pietro Fiocco lasciava direttive precise sui vari passaggi da effettuare e quando arrivava i fine settimana controllava il lavoro effettuato, e mandava avanti le fasi successive. Fare un telaio ex novo comporta , dal momento in cui si inizia con il modello fino al prototipo finito la successione che deve essere precisa di 172 passaggi tecnici, ognuno dei quali presenta insidie da evitare e precisione negli interventi. Questo protocollo operativo è il risultato di anni di esperienze sul campo della lavorazione dei materiali compositi e vien da se che è praticamente impossibile inventarsi da se od arrivare per proprio conto senza esperienze specifiche a risultati degni d'apprezzamento.
Il buon Pietro mi diede tutti i segreti di lavorazione in segno di riconoscimento per il mio fedele impegno profuso in anni di attività per L'Aviotech.
A rimboccarci le maniche , oltre a Pietro eravamo in tre : mio fratello Nicola e mio cugino Beppe. Questo in particolare non è che avesse alcuna esperienza di bici, anzi ne era completamente estraneo però si unì a noi cn entusiasmo nelle fasi iniziali di preparazione del modello e dello stampo. Beppe aveva un ottima manualità derivata dallla sua passione a restaurare mobili e manufatti in legno. Per cui trovò intiutivo e facile applicarsi sui materiali usati nelle varie fasi di elaborazione.
In quel periodo sembravamo più appartenere ad una setta di occulti cospiratori che essere un gruppo di lavoro operativo su di un progetto innovativo. Ci vedevamo sempre in ore notturne, si mandava avanti qualche fase costruttiva e poi si finiva immancabilmente , ultimi clienti in orario di chiusura alla pizzeria del paese dove, affamati ordinavamo l'immancabile pizza "del Pastore " di cui Pietro Fiocco era fanatico innaffiata dall'insostituibile birra Moretti " baffo d'oro ".Questa se non veniva servita ben fresca era una delle poche cose che riusciva a far perdere la pazienza all'altrimenti pacato e impertubabile Beppe.
Fu così che nei mesi a cavallo del terzo millennio portammo a termine lo stampo dell'agognato telaio. Io non vedevo l'ora di provarlo e speravo che ciò potesse accadere per la prima manifestazione agonistica dell'anno che era la via dei giganti , trittico di mountain bike nazionale che come tradizione apriva la stagione delle gare in costa smeralda.
Non avevamo ancora delle attrezzature specifiche ma con italica genialità e in modo artigianale facemmo in modo che potessimo assicurare quegli standard di pressioni e temperature necessarie come imponeva il protocollo operativo dello stampaggio di un telaio monoscocca.
Ci ritrovammo per l'operazione finale un venerdì che era sera tardi ormai. Nicola aveva ben cerato e lucidato secondo le raccomandazioni di Pietro le tre parti dello stampo ( i due semistampi simmetrici e il tappo di chiusura del carro posteriore ). Io avevo sistemato i tavoli ove disporre e impregnare con la resina epossidica i vari tessuti di carbonio che avrebbero composto la struttura del telaio.
Questi li portò Pietro stesso, gia pesati e tagliati secondo i suoi calcoli. Daltronde era lui il regista e l'unico che potesse dar vita a un telaio partendo da quella manciata di tessuto di carbonio ( 400 gr. ) impregnata con l'epossidica allo stesso tenore di peso ( altri 400 gr. ).
Beppe aveva messo a punto una pompa del vuoto indispensabile per mandare in pressione i tessuti fra lorouna volta chiuso lo stampo.
Lavorammo per tre ore intere impregnando e disponendo i vari strati di tessuto nei due semigusci dello stampo. Uno di questi faceva da parte "alta" , cioè conteneva in ecesso dai suoi bordi i tessuti ivi disposti, l'altro invece conteneva i tessuti che venivano rasati ai bordi (parte bassa ).
Tecnicamente Pietro metteva e disponeva negli stampi i vari tagli di tessuto da lui stesso fatti in precedenza. Era aiutato in questo da Nicola. Io e Beppe con i pennelli impregnavamo i tessuti che via via poi passavamo.
La parte più estenuante fu la disposizione del "sacco", e cioè dell'accorgimento necessario a dare poi pressione all'interno dello stampo e la seguente sigillattura dello stesso. Una volta composte le tre parti dello stampo la riuscita del lavoro finale dipende dalla perfetta tenuta della pressione che si otterrà grazie al vuoto creato all'interno. Se tutto andrà bene i tessuti disposti originariamente nei due semigusci si amalgameranno polimerizzandosi insieme uno sull'altro. Il risultato sarà un manufatto in monoscocca.
Con trepidazione mettemmo tutto all'interno dell'improvvisato forno e mettemmo in moto la pompa di pressione. Questa faceva un baccano infernale, e ciò, all'una di notte sembrava ancora più fastidiosa. La pressione però teneva, ogni minuto che questa era presente all'interno dello stampo era prezioso : sarebbe bastato che tenesse anche solo per un ora che già questo tempo sarebbe bastato per far si che la polimerizzazione principale andasse a buon fine.
Io rimasi come controllore del tutto, alle 5 del mattino avrei dovuto staccare la pompa. Non potevamo neanche andare a mangiarci la pizza del pastore e berci la moretti "baffo d'oro ". Beppe con disappunto ci fece vedere l'ora, ormai la pizzeria era chiusa da un pezzo.
Ci saremmo rivisti nuovamente l'indomani per aprire il "sarcofago" e vedere cosa ne sarebbe venuto fuori.
Pietro rimase a dormire anche lui nello scantinato. Il fracasso della pompa del vuoto non turbò minimamente il suo sonno. Io invece non chiusi occhio, mi sentivo come da bambino alla vigilia di Natale quando aspettavo con ansia che venisse giorno per aprire i pacchi che stavano sotto l'albero...
E venne finalmente l'alba.
Senza indugio liberammo lo stampo da tutti i vincoli relativi al sacco di chiusura della pressione e Pietro Fiocco cominciò a a introdurre con colpi esperti i cunei di legno necessari a dividere gli stampi. Sgusciare il semilavorato da questo è sempre un emozione perchè è in questa fase che capisci subito se tutto il lavoro precedente è andato a buon fine.
Qualche colpo deciso , seguito da sinistri scricchiolii, e finalmente un semistampo salta via facendoci apparire l'agognata creazione : Pietro Fiocco esprime subito una battuta di compiacimento : è venuto su bene al primo colpo... che culo ragazzi....
Finito di liberare il semilavorato da tutti gli ecessi di epossidica che ne contornavano il profilo lo mettiamo subito nella bilancia : solo 800 grammi ! . Finito di ripulire e con tutti gli inserti necessari per renderlo pronto al montaggio Pietro ci assicura che non andremo oltre il chilo e cento : un vero record !!
Stappiamo una bottiglia di spumante e brindiamo tutti e quattro all'avvenimento : mesi di fatica e di speranze ma alla fine ce l'avevamo fatta.
Mancava solo una settimana alla gara di Arzachena.
Lavorammo freneticamente e alla vigilia di questa il telaio era pronto al montaggio. Ultimo tocco gli adesivi con il nuovo nome : Monolite. Così si chiamava la squadra che avevamo con le bici Fiocco gli anni passati e mi sembrava giusto riportarlo sulla nuova creatura. Era come il volo della Fenice, uccello mitico che rinasceva dalle spoglie di un dio caduto.
Monolite poteva significare " monoscocca leggero ", oppure anche "monolitico " ossia tutto d'un pezzo.
Entrambe le interpretazioni andavano bene.
La "via dei giganti ", ossia la gara di Arzachena si articolava su tre prove distinte. Una cronometro, una cross country e una gran fondo. Con la mia nuova bici vinsi tutte le prove dedicate alla categoria master. Il collaudo sul campo non poteva essere migliore. La bici mi faceva andar via veloce e leggero. Sulle ali dell'entusiasmo andavo più forte che mai.
Tutto l'ambiente del mountain bike presente a questa gara guarda con sconcerto la mia nuova bici. Nessuno crede che sia stata fatta ex novo a Sinnai. Pensano sia un nuovo prototipo Aviotech che voglia al momento restare anonimo, viste le declinanti fortune dell'azienda .
Al mio rientro dalla trasferta positiva , pieni di ottimismo e di fiducia nel futuro, con mio fratello Nicola e mio cugino Beppe decidiamo di avviare una piccola produzione di questi telai . Per far ciò mettiamo su la Monolite S.N.C., e fondiamo anche l'omonima società sportiva di cui io ero il corridore, Nicola il segretario e Beppe il presidente.
Nei due fine settimana successivi abbiamo modo di stampare altri due telai. Gli ultimi fatti con la regia di Pietro Fiocco.
Poi quest'ultimo andrà via per sempre dalla Sardegna. Il fallimento dell'Aviotech sarà cosa di li a poco. Anche Beppe farà l'ultima apparizione concreta alla lavorazione dei telai con lo stampaggio del terzo. Daltronde il suo entusiasmo non poteva essere infinito, in considerazione del fatto che, pur appassionatosi di ciclismo, gli impegni familiari e di lavoro non gli potevano permettere una dedizione di tempo tale da star dietro a questo genere di impegni.
Per cui ( giustamente ) preferì dedicarsi a fare il presidente della società sportiva , che di li a poco avrebbe visto aumentare il numero dei soci. ( apriremo poi un capitolo che parlerà di questa società il cui metodo di amissione era quanto mai originale... )
Rimasti quindi in due a lavorare sul progetto, con mio fratello Nicola cercammo di mettere ordine e fare tesoro di tutte lae nozioni tecniche apprese da Fiocco.
Il protocollo di lavorazione per il telaio che ci aveva lasciato in eredità Pietro Fiocco, e che poi era quello utilizzato all'Aviotech, dopo un nostro attento esame , ci convinse che poteva essere modificato in più passaggi. Il nostro intento era quello di semplificarlo e renderlo più sicuro. Così come ci era stato insegnato erano tante le variabili che per un nulla avrebbero potuto compromettere il buon esito del lavoro. A cominciare dai materiali usati per sistema di tenuta di pressione. Senza contare che anche questa, con la pompa del vuoto non poteva andare oltre una atm. ( in realtà anche meno ).
Studiammo quindi tutto un altro metodo. Cambiammo i materiali e sviluppammo un altro protocollo operativo che mettemmo subito in pratica. Otretutto essendo stavolta soltanto in due era indispensabile che tutta l'operazione necessaria per lo stampaggio del telaio diventasse più snella e semplice.
Il quarto telaio stampato , il primo della nuova serie però ci ricordò quanto fosse facile cadere in errore. Per una banalità non considerata la pressione da noi calcolata non si ebbe e il telaio che saltò fuori dallo stampo fu una delusione. Lo chiamammo "penitenza ", ci fece capire cosa succede in uno stampo quando le fibre composite non si polimerizzano correttamente.
Rimediato all'incoveniente stamperemo poi via via un'altra decina di telai. Questi daranno poi prova nel tempo di essere pressochè indistruttibili e generosissimi del gravoso impiego agonistico.Verranno tutti sottoposti in mano a diversi atleti ai test più impegnativi.
Grazie al nuovo metodo messo a punto ora riusciamo a tenere una pressione costante di tre atm. Provando ad aumentare questo parametro ci siamo resi conto che nei fatti avevamo un peggioramento dei risultati. Infatti i vari strati dei tessuti da noi posti in un certo modo e ordine all'interno dello stampo, oltre certe pressioni flottavano fra loro andando a disporsi in modo non voluto. Nei fatti quindi il manufatto non aveva le caratteristiche che avevamo calcolato.
Disposizione delle fibre, tagli dei tessuti, percentuali di impregnazione di epossidica, pressione e temperatura diventavano tutto un insieme di variabili che con il tempo imparammo a gestire a nostro favore.
Intanto in campo sportivo le cose andavano benone. A parte l'attività regionale che mi portava quasi tutte le domeniche a vincermi una gara, le apparizioni che facevo anche in campo nazionale lasciavano il segno. Palpabile era l'effetto che faceva la mia bici. Siamo nel 2000 e la marea di componenti in carbonio che arriverà dal sud est asiatico e dalla Cina è ancora li da venire. la maggior parte delle bici d'alta gamma sono in alluminio.
Le parti in carbonio sono poche per cui il mio prototipo suscita interesse e curiosità.
Innumerevoli le discussioni sulla tecnica di lavorazione e sulle caratteristiche dei materiali. Quasi sempre i miei interlocutori sono gli stessi corridori appassionati ma non mancano anche generici costruttori di bici del tutto profani però sulla tecnica di utilizzo dei materiali compositi.
Il carbonio è visto con curiosità ma anche con sospetto : stravolge troppo con la sua leggerezza e resistenza certi concetti legati alle altre tipologie costruttive.
Con il passar dei mesi e l'aumentare dei componenti che faremo in carbonio praticamente finiremo per fare tutta la bici.
La Monolite diventerà una realizzazione talmente diversa da ciò che era la realtà dell'epoca che generalmente allo stupore subentrava subito dopo nella mente di chi la osservava la sensazione che era una bici troppo tecnica e "forzata " .
C'era troppo carbonio.
Se andiamo a vedere ora, un lustro dopo, scopriremo che gran parte della strada da noi aperta è stata poi percorsa dagli altri. Ovviamente noi le cose le abbiamo pensate , costruite e testate subito capendone le caratteristiche e corregendone i difetti con l'immediato utilizzo in gara. Rapidissimamente apportavamo le necessarie modifiche ai prototipi sucessivi e in tal modo arrivavamo alla soluzione ottimale di un dato componente, forcella, pedivelle o freni che fossero.
Una situazione del genere, cioè un costruttore che fosse anche corridore e quindi tester d'eccezione dei materiali penso che almeno nel campo dei materiali compositi non si sia mai visto.
Almeno non con decine di migliaia di km. percorsi off-road su bici in carbonio.
la seconda cosa che cominciammo a fare, dopo il telaio fu la forcella da cross country . Sapevamo che questo componente, fatto in monoscocca avrebbe dato una marcia in più in gara. Con i fratelli Fiocco ne avevamo allestito alcuni prototipi con cui avevamo equipaggiato le ultime Fiocco nel 1999.
Certamente erano migliorabili e sulla base delle esperienze passate sapevamo già che cosa fare. Così nell'agosto del 2000 mentre io correvo (e vincevo ) l'Iron Bike mio fratello Nicola lavorava lo stampo della nuova creazione che poi stampammo e mettemmo subito sotto torchio al mio rientro.Le sensazioni erano incoraggianti ma ci mancava qualcosa per "chiudere il cerchio", ossia per rendere stabile e performante la bici in tutte le condizioni. Questo qualcosa era il manubrio integrato in monoscocca : intuemmo che costruendo questo fondamentale componente e conferendogli lo stesso modulo di elasticità del telaio e della forcella tutto l'insieme si sarebbe comportato in modo armonico nell'uso off road.
Costruemmo così anche il manubrio integrato. I primi prototipi ci diedero dei bei grattacapi. In particolare non riuscivamo a stabilizzare l'attacco al cannotto forcella con la piega manubrio. Poi trovammo la formula giusta che in concreto significa non avere più cedimenti di sorta sotto stress ( stress leggi gare ... ).
Con tutte le prime realizzazioni è sempre la solita storia : non sai mai quanto la ricetta adoperata si sia avvicinata a quella giusta. A volte ci vai vicino al primo colpo.
Spesso però torni dal giro di prova con qualcosa di rotto e da rifare in modo diverso.
Con l'intuito e l'esperienza arrivi abbastanza velocemente alla soluzione finale. Più sei bravo e meno prototipi devi realizzare in tal senso.
Ci sono stati componenti però che , oggettivamente ci hanno veramente fatto dannare. Per la molteplicità delle problematiche che erano insite nella loro realizzazione. Come per le pedivelle per esempio.
Quando iniziammo a farle, c'è stato un periodo che non riuscivo a portare a termine un allenamento senza che si rompesse qualcosa. Poi man mano che trovavamo soluzioni e rimedi i crack diventavano sempre più sporadici e remoti. Alla fine anche con le pedivelle trovammo la soluzione finale e definitiva. Quella che dava affidabilità e performance al componente. Per un lungo periodo però sono dovuto uscire in bici con nello zainetto le pedivelle di scorta....
Alla fine però le abbiamo domate, le pedivelle intendo. Disegno degli inserti, disposizione sdelle fibre, qualità delle stesse e modalità di pressioni ci hanno portato alle conclusioni finali per ottenere un prodotto eccellente.
Ovviamente tutto questo darsi da fare e correre nelle gare anche di tipo estremo, vedi Iron Bike, corse a tappe in Africa e via dicendo richiedeva un impegno fisico e mentale non indifferente. Solo la passione e la tenacia a perseguire un risultato ti possono portare a tanto. Noi volevamo a tutti i costi realizzare una super bici e, grazie a Dio ci siamo riusciti.
I problemi che non potevamo immaginare all'inizio, ma che poi sono via via diventati palesi strada facendo, entrando nel terzo millennio sarebbero stati legati a ostacoli di tipo non tecnici ma burocratici e commerciali. Poter produrre e vendere a norma, con le nuove disposizioni europee e in contemporanea con il nascente mercato di importazione parallelo cinese e affine si sarebbe rivelata cosa impossibile. E non solo per noi , piccoli artigiani appena nati. Lo stesso stava diventando anche per realtà consolidate da decenni nel settore del ciclo. In poco più di una manciata di anni non si è trovato industriale o imprenditore che non abbia "delocalizzato " le sue aziende. Termine elegante per dire che chiudi di corsa le tue fabbriche in Italia diventate troppo costose per produrre e trasferisci il tutto in aree geografiche dove la mano d'opera e le spese di gestione vadano verso il basso. Tutti in Cina o dintorni quindi.
Ma noi nelle nostra piccola e cara isoletta che è la Sardegna cosa potevamo fare ? Ce lo vedete Nicola o il sottoscritto trasferiti nel sud est asiatico o in terra bulgara ? .
Abbiamo avute proposte per andare in Brasile ma io dico : siamo matti ? E per fare che, per continuare a fare bici ? Piuttosto faccio altro ma dalla Sardegna non scozzo...
Fra il 2002 e il 2003 abbiamo avuto tanti contatti di gente che era interessata a fare qualcosa con il carbonio ma non sapeva da dove iniziare. Imprenditori anche di livello da sempre impegnati nel mondo del ciclo e che ora si accorgevano di rischiare di rimaner fuori dal giro se non correvano ai ripari proponendo anch'essi bici in carbonio.
Tutti rimanevano spaventati dalla specificità insita nella lavorazione dei materiali compositi, che non permette troppe meccanizzazioni e automazioni. Ci vuole la costante mano dell'uomo e questa in Italia è una faccenda maledettamente costosa. Roba che ti manda subito fuori mercato. Li vedevi quindi dubbiosi e sconsolati, salvo osservare tempo dopo una loro "creazione "esposta ad un salone o già in vendita. Scintillanti telai in carbonio con forme suadenti ed accattivanti. Anche loro alla fine sceglievano la via cinese.
Arrivando a questi ultimi anni, ormai finalmente le bici in carbonio così proposte sono diventate oggetto di massa. Alle partenze delle gare di mountain bike mi trovo infatti ora circondato da bikers in sella a bici cinesi.
Se penso alle critiche e allo scetticismo che circondava le mie special ai tempi che ero l'unico a correre con materiali compositi vien da sorridere. I detrattori del carbonio di allora sono quelli che ora lo difendono a spada tratta, declinandone gli innumerevoli pregi. Anche quelli presunti o immaginari.
Quello che è certo è che comunque, oggi come prima nessuno in realtà ne capisce nulla. Non le sapevano fare prima le bici ed ora non è che si sia imparato. Semplicemente le si aquista già belle e pronte ad essere marchiate provenienti dal sud est asiatico. Vorrei proprio vedere chi sa realmente fare un telaio monoscocca in Italia ( a parte la C4 dove li hanno fatti da sempre ).In quest'ultimo anno si magnificano telai che arrivano a pesare intorno al kilogrammo . Ed allora?.
C'e ne hanno messo di tempo ad arrivarci. Lo stesso risultato l'abbiamo ottenuto noi ben 6 anni fa lavorando con materiali di serie B in uno scantinato di un paese di Sardegna. Se ora dovessi impostare un nuovo telaio con tutte le esperienze conseguite e con le conoscenze dei nuovi materiali e metodi di lavorazione connessi posso affermare con sicurezza che il mio prototipo verrebbe eguagliato dalla produzione comune dopo non meno di altri 5 anni.
In questo ultimo periodo ho praticamente smesso,( ed altrettanto mio fratello Nicola) di fare pezzi in carbonio connessi alla bici. Ho materiali costruiti per poter correre o comunque andare in mountain bike per i prossimi 100 anni. Ogni tanto faccio qualche riparazione, sistemo una delle mie special che stanno lì come in un museo d'arte e tecnica contemporanea, che per dirla tutta lo meriterebbero a pieno titolo. Con i materiali compositi mi sono dato all'arte e all'effimero costruendo i gioielli che potrete vedere nelle pagine del Link dedicate. Almeno queste cose i cinesi ancora non hanno provveduto a copiarle e poi trovo soddisfazione personale a creare qualcosa di esclusivo e unico che, contrariamente alle bici puoi creare e vendere senza problemi particolari.
L'arte di fare le bici comunque non è certamenta stata buttata via. E' semplicemente messa da parte in attesa di tempi od opportunità adeguate. Qualche contatto per poter dar luogo a una produzione di livello è per fortuna presente .
E' molto probabile quindi che in futuro qualche "gioiello " che vada su due ruote rispunti fuori .
Non dovesse accadere, mi basterà comunque la soddisfazione di aver vinto un titolo europeo di mountain bike con una bici interamente progettata e costruita personalmente.
A proposito : quanti possono dire d'aver fatto altrettanto ?...