2000 iron bike

Pubblicato il 12 Mag 2006


2000 – Iron Bike Come si può facilmente immaginare, la stampa sia nazionale che internazionale, ha dato ampia eco a quanto accaduto all'Ironbike 2000, ed in particolare ha suscitato scalpore il fatto che avessi vinto questa competizione con una “mia creazione”: un Sardo che vince una corsa così prestigiosa con una bicicletta in fibra di Carbonio autocostruita non è in effetti cosa di tutti i giorni... Di seguito riporto un paio di pezzi tratti da importanti testate: gli altri, più o meno, riportano le stesse cose...

La settima edizione dell’ Iron Bike svoltasi con partenza ed arrivo a Saluzzo dal 30 luglio al 5 agosto ha visto come vincitore Vittorio Serra, patron della Victor-monolite, bici in fibra di carbonio appositamente preparata per affrontare questo difficile test. Un connubio tutto made in Sardinia, rivelatosi vincente nella dura competizione nelle alpi italo-francesi. La gara, unica in Europa per il taglio “estremo “ in cui è formulata, si è svolta su sette tappe di montagna della lunghezza variabile da 80 a 100 km con altitudini variabili dai 2000 ai 3000 metri. Spartana la sistemazione logistica, prevista in bivacchi serali da prepararsi a cura dei concorrenti stessi.

Finita la gara quindi di routine montare tenda e sistemare i bagagli, prima ancora di mangiare, ripulirsi e riassettare la bici. L’organizzazione per quest’anno ha elaborato un percorso rivelatosi micidiale: vecchie strade alpine mai attraversate da mezzi che non fossero i buoni muli di un tempo e, specie nel versante francese, tutto un susseguirsi di percorsi legati alle fortificazioni d’alta quota risalenti all’ultima guerra. Il tempo ha ulteriormente amplificato le difficoltà: pioggia, vento e anche neve sono stati presenti soprattutto nelle tappe più dure, la terza e la quarta. Alla fine, degli 80 partenti di Saluzzo, ne verranno classificati soltanto 28.

La mia Iron Bike è iniziata il giorno prima della data ufficiale: imbarcarsi dalla Sardegna il 29 di luglio è stata infatti un impresa non da poco, con attese di ore in banchina a Portotorres, navi “veloci” che non si sa quando arrivino in porto e quindi quando ripartano e nottata in sacco a pelo in parte in banchina ed in parte sul ponte della nave... A Saluzzo la sera del 30 luglio, arrivo che mi sembra d’aver concluso una difficile tappa. Punto di riunione e allestimento del primo campo è una struttura sportiva polivalente con al centro un bel prato: l'ideale per montare le tende! Operazione già in corso da parte di molti partecipanti: precisi e metodici, si vede che sono qui tutti ben preparati e motivati. Francia, Spagna, Germania, Olanda e Brasile, oltre che gli italiani, sono le nazioni con più iscritti. Scarico dalla macchina la bici e le mie cose ed opero un'ultima cernita dei materiali da portarmi dietro. Dato che l’organizzazione non accetta più di uno zaino, il resto resterà dentro la macchina che rimarrà parcheggiata a Saluzzo e che rivedrò a fine rally: speriamo di non aver lasciato qualcosa che poi si rivelerà importante.

La luna compare pigramente a Saluzzo quando, alle 10 di sera, partiamo per il prologo notturno: una gara di cross country dentro il centro storico, oltre mezz'ora “a tutta” in mezzo ad un gran pubblico di cittadini entusiasti per l’avvenimento che ormai è diventato un classico della loro estate. Si cerca di dare il massimo, non tanto per lo spettacolo, ma perchè gli organizzatori danno alla prova il coefficiente 5, che vuol dire che ogni secondo di ritardo che rifili agli avversari, vale come 5 secondi dati in montagna, per cui tutti a tirare! Vincerò e indosserò la maglia di leader. L’indomani, alla prima tappa di 90 km, partirò per ultimo, ad un minuto da Martini, secondo nell’assoluta.

Per una settimana tutti i giorni sveglia all’alba. Alle 8 del mattino devi aver già smontato tenda e bagagli per metterli su di uno di quei grossi camion IVECO arancioni che hanno fatto il giro del mondo nella spedizione OVERLAND e che fanno parte della struttura al seguito della gara, insieme ad altri 10 mezzi fuoristrada, altrettante moto, un elicottero etc. il tutto con un impegno logistico di oltre 60 persone. Subito poi a fare colazione il più abbondantemente possibile sotto le tende allestite appositamente.

Latte, caffè, tanto pane con marmellata, miele etc. e poi frutta secca e dolci: finchè non parti, cerchi sempre di mangiare qualcosa. Lo sforzo che ti aspetta è di quelli che, se si trascura il fondamentale apporto energetico, ci si ritrova all’improvviso senza forze prima della conclusione della tappa, incapace di proseguire. Vuoi perdere peso? Chiedimi come! Con una modica cifra ti iscrivi all’IRON BIKE e stai sicuro che, se finisci in una settimana, il cospicuo calo di peso è assicurato senza rinunce di cibo, anzi abusandone!

Mentre quindi aspetti il tuo turno per partire, che è inverso all’ordine di classifica (perciò partirò sempre ultimo!) ricontrolli bici e cose al seguito: per regolamento è obbligatorio usare il Camelbak, uno speciale zainetto che contiene una riserva idrica che può raggiungere anche i 2 litri di acqua, utilizzabili con un pratico tubicino da cui si aspira in corsa senza bisogno di staccare le mani dal manubrio, cosa questa fondamentale nel fuoristrada. Nel Camelbak ci metto anche le chiavi per la manutenzione della bici, alcune camere d’aria di scorta e relativa pompa di gonfiaggio, 4 barrette energetiche, un po’ di filo di ferro e del nastro adesivo, mentre arrotolato alla vita tengo una leggera giacca antiacqua. E poi, alla fine, si parte.

I percorsi sono stati molto vari: siamo passati da trasferimenti in asfalto a lunghe sterrate in salita, per finire quindi in terribili tratti interminabili di mulattiere che, fossero in salita o discesa, non faceva molta differenza: ti spaccavano gambe e braccia comunque. I primi due giorni per la verità non sono stati poi tanto ostici: sempre bel tempo, strade in mezzo ai boschi certamente impegnative sia per la pendenza che per i km, ma comunque pedalabili, l’ideale per chi ha buone gambe, bici leggera e spirito combattivo. Poi, però, ci vorrà anche forza e coraggio.

Le prime avvisaglie il terzo giorno, scavalcando il colle del Maurin. Prima sterrata in salita, poi infida mulattiera e poi decisamente a piedi, bici in spalla, lungo un interminabile sentiero che punta dritto alla cresta alpina che divide l’Italia dalla Francia. In religioso silenzio, cercando di far prima possibile, ma dosando le forze, perchè siamo quasi a 3000 metri di altezza ed affaticarsi è facile. Quindi una interminabile picchiata in terra di Francia, passando per sentieri che discendono a capofitto, pieni di rocce e radici resi viscidi dalla pioggia che comincia ad accompagnarci. Si cerca di cadere il meno possibile, o almeno limitando i danni. Finalmente a Vars, centro sciistico di grido. In Francia faremo due tappe che si riveleranno micidiali. Il tempo si è decisamente messo sul brutto. “Vento, pioggia e neve”: così titolerà un giornale del luogo per commentare gli avvenimenti. Di fatto molti non ce la faranno.

Commovente il ritiro di un concorrente a un solo km dal traguardo, dopo 100 percorsi. Ma quello era l’ultimo km che portava a Fort Vyresse. Vyresse, una roccaforte aggrappata sui rocciai a 3000 metri di altezza, giudici e viveri portati lì con l’elicottero... Mentre faticosamente arrancavi nel sentiero stagliato nella roccia, con ingranato il rapporto più corto a disposizione, non avevi il coraggio di alzare gli occhi e guardare il forte. Ti pareva impossibile fossero riusciti a metterlo lì, così in alto. Il giorno dopo tira vento è c’è nebbia. Partiamo che piove, poi nevica. L’abbigliamento che abbiamo è leggero, ci si abitua al freddo. Il fatto è che vai più piano e fai molta più fatica...

Scendendo a valle, rientrato nel versante italiano, cadrò in una pietraia segnalata in modo errato come pista: 10 km in discesa saltando di roccia in roccia. Diventa importante saper improvvisare le traiettorie migliori ed ovviamente quasi mai la via più breve è anche quella consigliabile. Le ultime tappe in terra italiana saranno decisive. Soprattutto il venerdì, penultima giornata. Il tempo è sempre molto incerto, a tratti piove. Attaccherò con decisione perché i tratti in salita sono lunghi e selettivi. L’ultimo giorno mi basterà controllare. Vincerò la prima speciale e poi penserò solo a portare la bici al traguardo, a Saluzzo. Cosa che farò senza problemi. Avevo vinto l’Iron Bike!