naturaid in marocco 2005

Pubblicato il 28 Apr 2006


naturaid in Marocco 2005
NATURAID MAROCCO 2005


L'MD80 che ci porta verso Marrakech taglia alla fine lo spesso banco di nubi che si intravedeva sotto di noi. Scivolando avvolti nel nulla perdiamo progressivamente quota e la terra africana ci appare improvvisamente, con i suoi colori ocra in cui sono dipinti villaggi, piantagioni e strade. Ci avviciniamo alla pista di atterraggio. Si vede che piove e tira vento. Le strade sono lucide di pioggia e il tempo non deve essere dei migliori. Il grosso aereo mette giù il muso ma poi, arrivato a pochi metri da terra riattacca a tutta manetta e arranca di nuovo con una sinistra virata verso l'alto. La risalita è strettissima e l'ala e sbandata di più di 45 gradi. Roba che non sento se non quando sono a bordo del mio deltaplano. Il pilota ha fallito l'allineamento della pista e ora ci riprova. A bordo nessuno parla. Dopo il necessario 360 si va giù nuovamente e stavolta è la volta buona. Fuori fa freddo e l'aria è carica di umidità. Saliti su delle land rover 110 iniziamo il viaggio verso il lago Barage Bin el Quidan, nella regione di Azilal , che è il punto da cui partiremo martedì 15. mentre sistemiamo i nostri bagagli e le bici, che vengono imbragate nei capaci portapacchi dei fuoristrada inglesi, dò un occhiata a questi mezzi che ci dovranno fra l'altro fare d'assistenza durante tutta la nostra avventura. Certo sono dei bei ferri, attrezzati a dovere per le gite "fuori porta". Un occhiata al takimetro e rimango stupito dai km. segnati,:più di 500.000, e meno male che è pure rotto...Saliti tutti su in gruppi di sei cominciamo a risalire verso sud, su di un asfalto incerto e sotto un cielo plumbeo. Poi comincia a piovere. Come da aspettarsi all'interno dei lands, avere aperti o chiusi i finestrini non è che la cosa cambi molto. Tutto quello che abbiamo ce lo mettiamo addosso. A parte il casco per il resto potremmo gia essere come in bici su di un trekking invernale. La guida al volante accende l'immancabile radio che cattura qualche disturbata emittente locale. Al ritmo di musiche arabe la colonna vila fia verso i contrafforti dell'ATLAS. I tergicristalli usurati trasformano presto in una patina incerta questa pioggia mista a terra che scende dal cielo. Il mio avanbraccio destro , esposto nonostante la posizione ranicchiata che ho assunto nelle retrovie del landrover comincia ad intorpidirsi dal freddo. Anche gli altri , dall'assoluta assenza di dialogo, non devono passarsela meglio.La velocità a cui andiamo, calcolata da uno di noi con il satellitare è di circa 65 kmora. Mancano quindi circa 5 ore alla meta.Finalmente l'Africa,.... penso fra di me mentre cerco una posizione che mi faccia dormire.
Arriviamo alla meta nel tardo pomeriggio. L'albergo ,che è affacciato in questo scorcio di lago è sicuramente un riferimento abituale per gruppi organizzati di cacciatori che qui vengono a sparare e ammazzare cinghiali e altro. Cosi almeno pare osservando i numerosi trofei e foto appese ovunque.Visto che c'è un pò di luce iniziamo a rimettere a posto bici e bagagli, ancora impacchettate nei loro contenitori.
C'è chi si è portato la bici dentro il classico scatolone di cartone e chi aveva una più razionale sacca o valigia dedicata. Personalmente, il problema del trasporto aereo che devo sempre affrontare ogni qualvolta devo fare una gara lontano dalla mia cara isoletta l'ho risolto in modo definitivo smontando il tutto e accorpando telaio e ruote in un unico involucro leggero e compatto e tutto il resto ( forcella, manubrio con comandi e meccanica annessi ) li stivo in un capiente zaino da trekking, insieme agli altri effetti personali necessari alla trasferta. Così ottengo il duplice risultato di potermi muovere liberamente in aereoporti e stazioni ferroviarie senza trascinarmi improponibili ingombri ed inoltre eludo l'altrimenti obbligatoria sovratassa che le compagnie aeree richiedono per il trasporto di una bici al seguito, che con il mio sistema non appare. Considerando che l'insieme non supera i fatidici 20 kg. sono più che a posto con quel che recitano le condizioni che riguardano i bagagli al seguito.Inoltre preferisco perdere mezzora a rimontare il tutto che ritrovarmi con qualcosa di rotto , evento più che probabile quando trasporti la bici assemblata.( una volta tornando da una gara in Brasile mi sono ritrovato il telaio spezzato in due , meno male che le bici me le costruisco da me,altrimenti c'era da piangere.... ).
Rimontiamo il tutto mentre fuori la pioggia continua ad a venir giù. Mentre comincia a far buio siamo presi da un cupo presagio. Se questo mal tempo continua, non oso neppure pensare cosa possa diventare questa già di per se difficile avventura.
Prepariamo quindi i bagagli che ci dovremo necessariamente portar dietro . Il regolamento recita che dovremo essere autosufficienti per cui obbligatoriamente, pena la squalifica dovremo aver con noi alla partenza sacco a pelo, telo termico, kit di pronto soccorso e viveri per 8.000 calorie. Il tutto viene verificato dagli attenti organizzatori. Necessarie anche luci al seguito e relative batterie di scorta. Questa formula di gara ci ha obbligato a dover risolvere molteplici problemi logistici. Pena un improponibile fardello, per poter avere tutto il necessario obbligatorio ho dovuto valutare attentamente tutte le singole voci. Innanzittutto sulla bici mi sono montato un gavone fatto in Kevlar -carbonio che mi permettesse di utilizzare lo spazio del triangolo centrale del telaio. Avrebbe alloggiato i materiali più pesanti o delicati. Poi ,posteriormente ho installato un agile portapacchi tradizionale in alluminio. Ci avrei messo il sacco a pelo tecnico da 500 gr. più una sacca con gli indumenti supplementari, Altri 600 gr. I'esperienza mi insegna che caricare un portapacchi con più di 2 kg di materiali avrebbe portato alla sua rottura, in una guida off-road. Anteriormente sul manubrio ho solo il porta rood-book in carbonio con bussola e luci al led annesse . Completa la dotazione d'illuminazione il potente impianto da 25 led che porto sul casco (vedi preparazione raid 2004 su www.doctorvictor.it ) .Per i viveri non ho avuto dubbi, anche grazie alla esperienza dell'anno passato. Niente barrette o integratori vari specifici o presunti tali. Tutta roba che mi verrebbe far venir nausea o peggio a meno di metà gara.
Mezzo kg. di grana padano, mezzo gk. di Speek affumicato e salato, un kg di mandorle, uva passa, arachidi e noci.Duecento gr. di cioccolata e circa un kg. di pane di vario genere. Fra gli altri materiali d'emergenza ho con me il kit a base di materiali compositi che ho messo a punto per la riparazione veloce di qualsiasi componente della bici. In un pacchetto del peso di 90 gr. vi è la ricetta per poter ripartire anche nel caso di rottura del telaio in meno di un ora. In una gara così lunga l'handicap dello stop è trascurabile.
Quando alle sei del mattino del 15 novembre siamo tutti e 15 allineati al via di questa avventura, sta cominciando a far luce, e il cielo è coperto da grosse nubi. Non piove, ma nessuno si fa illusioni.
Più che preparati, siamo rassegnati al peggio...



Tutto il gruppo dei 15 partenti si avvia quindi compatto al via di Maurizio Doro per i primi tornanti in asfalto. Il patron della gara nonchè direttore di questa stà arrampicato sul portapacchi di un land rover d'assistenza, e maneggia la telecamera , così come stà facendo anche il fotografo di MTB magazine tedesco, li per riprendere le gesta dell'atleta teutonico Henry Lesewitz specializzato ,pare in questo genere di gare.Si vede che è un bel massiccione e infatti ha un palmares di tutto rispetto.In Germania è molto conosciuto e rispettato, tutto tatuato nelle braccia mi ricorda l'amico sardo Samuele Pisu, ma spero nel mio intimo che non sia altrettanto duro da domare.
I muscoli sodi e la pelle tirata a lucido rimarcano questo giovane pieno di salute ed io lo osservo da tergo mentre imprime vigorose pedalate alla sua Specialized. Dopo un pò rimango con lui e il solo Verzella alle calcagna. Dietro non si vede già più nessuno e sono passati solo pochi km. dalla partenza. La strada continua a salire e il cielo, color piombo ci fa capire che mette male. Il buon Raffaele giustamente mi consiglia di non forzare e di lasciare il tedesco davanti. Il passo in effetti è buono ed è inutile spendere ulteriori energie.
Ogni tanto prendo una manciata di frutta secca che mastico mentre pedalo e chiacchero con Raffaele a fianco. Il paesaggio va via cambiando continuamente scenari. Siamo in una zona di montagne e le nuvole basse ogni tanto lasciano campo a scorci paesaggistici notevoli. Non è con gran gioia comunque che constatiamo che poco più su è tutto bianco. é nevicato gia a 1500 metri di quota. Il solo pensiero che noi dovremo fare tantissimi km. a oltre 2000 metri con un valico a 3000 dovrebbe inorgoglire il nostro spirito da uomini duri fanatici dell'estremo, eppure non so perchè ma lo sconforto nei nostri sguardi è palese. Man mano che saliamo il freddo aumenta e comincia a sentirsi un vento gelido contrario. Poi la pioggia preventivata, come una cambiale in scadenza arriva senza speranza di interruzioni. La prima goccia che ti arriva , come sempre, speri sia solo un uccello che ti ha centrato.Poi devi accettare la realtà. Ci fermiamo un attimo per indossare gli indumenti antiacqua stivati nell'intima speranza di non doverli mai usare. Un giro di nastro alle caviglie e ai polsi per meglio sigillare e via verso il primo punto di controllo.
Quando arriviamo troviamo un fuoristrada dell'organizzazione. Per terra ci sono alcune bottiglie d'acqua e l'autista marocchino che deve prendere il tempo di passaggio lo farebbe se non fosse che non ha penna e peggio ancora orologio da consultare per valutare il momento dell'arrivo.All'interno della bettola prospicente l'auto alla fine risolviamo sbrigativamente la cosa e quindi ripartiamo imboccando una pista in salita.Ci inoltriamo per oltre sette km sotto la pioggia quando con la coda dell'occhio intravedo il fuoristrada di poco prima che si arrampica di gran carriera verso la nostra direzione. In breve la guida ci spiega che causa le pioggie è impossibile per i mezzi inoltrarsi oltre nella pista originaria, per cui giocoforza occorre tornare indietro e imboccarne un 'altra , più lunga ma più sicura. Torniamo quindi al punto del controllo dove troviamo tutti gli altri che, all'interno della bettola bevono the caldo e attendono l'evolversi degli eventi.
Teoricamente si dovrebbe ripartire in base al tempo d'arrivo, ma poi quando fatti pochi km intravediamo dietro la figura di Massimo Bina, capiamo che tutto il vantaggio che avevamo aquisito nelle prime tre ore era stato vanificato dall'imprevisto cambio di programma. La pioggia continua ad essere nostra compagna e così pure la salita, lunga e impegnativa.Sotto di noi si vedono i tornanti così come li scaliamo. Non si riesce a capirne la fine.
In lontananza ci pare di scorgere un tandem che sale. La cosa non è ben chiara. Poi capiremo...
L'arabo alla guida del suo Motobecane 103 variateur si stà inerpicando anch'esso su per i tornanti. Avvolto nel suo Kaftano certamente è infreddolito dalla pioggia e cerca di andar via spedito. Bina che ha innestato il rapporto medio non si fa sfuggire il passaggio inaspettato. Con gesto fulmineo artiglia l'insperato convoglio e in breve la sua Giant si ritrova ad andar veloce in salita come mai gli era capitato in tutta la carriera. Dopo un pò però l'occasionale fardello diventa insostenibile per lo sfiatato ciclomotore, gia al limite per via della dura salita. Per cui sulle prime anche l'arabo è costretto a mettersi sui pedali del ciclomotore, incitato dal nostro, poi pero questi, ancor più a corto di fiato e di allenamento di Bina comincia a dare segni di insofferenza, e quindi con uno scatto d'ira riesce a staccarsi ed ad allontanarsi.
Ma, se invece di un povero motobecane Massimo avesse trovato per strada uno di quei fantastici Zundapp che abbiamo avuto occasione di anmmirare strada facendo ?
La storia del naturaid 2005 probabilmente sarebbe dovuta essere riscritta, il vincitore sarebbe stato un altro. Lo Zundapp 50 del 72 ancora qui in voga non è mica una cosa che cala di giri così su due piedi. Diretto discendente del motore con cui il mitico Shmider ha vinto 10 titolo europei di regolarità, con i suoi 8 cavalli a 10.000 giri avrebbe potuto spingere senza affanno alcuno chicchessia. Il pistone a corsa quadra e il cilindro a canna cromata avrebbero garantito una resistenza a tutta prova. Meno male che invece era un povero Motobecane variateur del 67.
Ad onor del vero lo stesso Massimo Bina ci descriverà la cosa, che noi avevamo intravisto e rideremo tutti di gusto per la goliardica scena.
Lungo questa pista fuori programma la pioggia ci è sempre compagna. da un paio di ore avanziamo con solidale ritmo io Verzella e Lesewitz. La pista è una sola e non c'è da perdersi però il rood book ovviamente ora ci è inutile e anche i segni di vernice blu che ogni tanto Maurizio Doro utilizza per rimarcare bivi e giusta via sono quanto mai aleatori. Se per un motivo o per l'altro stessimo pedalando nella direzione sbagliata, continuremmo a farlo per ore.Passiamo a fianco di villaggi piccoli e sparsi in delle valli la cui attività principale è l'agricoltura. In modo particolare ci sono tantissimi uliveti,le cui piante secolari si stagliano imponenti come monumenti al vento. I campi sono lavorati con l'aratro in legno trainato dall'onnipresente asino, e non potrebbe essere altrimenti. Il connubbio asino ,aratro di fattura millenaria è l'unica alternativa valida per questi berberi che ogni giorno devono spostarsi per coltivare i campi in sella a questi infaticabili quadrupedi. Se l'aratro non fosse di leggero legno semplicemente non potrebbero trasportarselo dietro.E poi esibiscono una tecnica che li rende incredibilmente agili e veloci nel rivoltar la terra. La cosa cioè funziona più che bene. Con il passare delle ore Raffaele comincia a perdere colpi. Io e il tedesco nel tentativo di non vedercelo staccare diminuiamo sempre più il passo. Alla fine delle salite lo aspettiamo. Continua a piovere e fa freddo ma ormai peggio di così non ci può andare , ci siamo ormai adattati. Infine Raffaele si ribalta pancia all'aria sul ciglio della strada in preda a crampi allo stomaco. Lesewitz , si vede che gli dispiace però allunga e va via solitario sparendo nella nebbia che attanaglia la zona. Attendo qualche minuto sperando di riveder migliorare Raffaele ma in cuor mio sento che difficilmente potrà far la notte in queste condizioni. Mi fa cenno di continuare ,salutatolo come uno che credi di non riveder più vado via finalmente al mio passo a riagganciare il tedesco. Ci metto poco, poi visto che mi sembra in piena forma allungo ulteriormente. Il risultato è che in breve mi ritrovo solitario davanti. Speriamo sia la strada giusta,mi fa spesso pensare il mio istinto diffidente.Abbiamo fatto più di 100 km dal punto di inizio della variante e non si vede traccia di nulla e di nessuno. Quello che mi preoccupa è che c'è acqua dappertutto tranne che nella mia borraccia. Non posso certo riempirla in questi fiumi di fango in piena,la cosa potrebbe cominciar a diventare critica. Ogni tanto incrocio un nativo in sella ad un asino e chiedo in francese un pò d'acqua ma la risposta è sempre negativa. Poi all'improvviso entro in un piccolo villaggio berbero. Sono giusto quattro case di frasche e fango però al centro vi è un inequivocabile fontana. Non ci metterei la firma sulla bontà del liquido che ne sgorga però intanto la borraccia la riempio.
Di li a poco mi imbatterò finalmente nel secondo controllo. Il fuoristrada messo di traverso nella strada mi sembra bellissimo. La modifica della pista originaria era una cosa durata 120 km. (continua )


In questo punto di controllo rivedo Maurizio Doro. Mi racconta per sommi capi quanto inagibile fosse diventato il tracciato originario a causa delle pioggie.
E' un pò amareggiato perchè ci teneva a far passare la gara nel tratto eliminato, ma tant'è, sarà per la prossima edizione. Intanto arriva Lesewitz. Anche per lui un abbondante dose di the bollente alla menta, bevuto accanto alla stufa in ghisa rovente della bottega che stà di fianco al punto di controllo. Cosa ci faccia li questa dispensa nel cui interno alla tenue luce di una lampada a petrolio appaiono mercanzie sparse per terra e in dei sacchi, mi sembra un mistero. Tutto intorno pare non esserci anima viva. Sono fermo da ormai una mezzora e mi sento come nuovo. Facco per ripartire in compagnia del tedesco quando ecco che come per miracolo ricompare in fondo al rettifilo la sagoma di un biker. Un attimo e lo riconosco : è Raffaele Verzella! Dato per spacciato invece eccolo lì, resuscitato e determinato a non mollare l'osso. Ci racconta del brutto quarto d'ora passato steso per terra sotto la pioggia battente. Ma ora stà già molto meglio e dopo alcuni minuti, riformatosi il terzetto della prima ora, infiliamo la pista che continua a salire. Ormai siamo alle ultime luci del giorno. Lentamente stiamo scivolando nella notte, più saliamo di quota arrampicandoci per i tornanti e più la temperatura cala. In breve ci ritroviamo sottozero.La novità molto positiva è che però ha finalmente smesso di piovere, e il cielo ora ci appare terso e punteggiato da luminosissime stelle.La luna all'apice del suo splendore ci svela con i suoi riflessi argentati tutti i paesaggi che attraversiamo. Siamo immersi in un silenzioso ambiente da mille e una notte. Ogni tanto qualche tratto in discesa ci dà modo di verificare l'efficienza delle rispettive luci. Occorre essere prudenti perchè ci sono molti tratti infarciti da ghiaccio traditore. Cadere e rompersi un osso è roba di un attimo. Tutti i partecipanti di questo raid hanno cercato di risolvere a modo loro il tema delle luci. Ho visto soluzioni di ogni genere, più o meno razionali, alcune balzane.Raffaele aveva al manubrio un ottimistica lampada a 7 leds. Sufficiente per guardarsi i piedi.Buon per lui che con la luna piena e l'occhio allenato, una certa profondità di visuale comunque riusciva ad averla. Meno garibaldino Lesewitz: sfoggiava infatti un inedito faro ultima generazione sempre a base di leds ma con parabola abbastanza efficiente . In confronto però il mio super led montato sul casco sembrava un faro da contraerea (vedi preparazione raid 2004 ). La soluzione più scalcagnata al via di questa gara era però adottata dall'ungherese Laszlo Kovacs. Ho sempre pensato che quella lucina agrappata nel suo manubrio fosse stata pensata per rendere più agevole la lettura di qualche libro immersi in un ambiente soft, magari gustando un bicchiere di vino e ascoltando buona musica. Tutto di questo personaggio era però eclettico. Le luci erano il meno, l'equipaggiamento lasciava sbigottiti. Come da regolamento il buon Laszlo aveva tutto il necessario ma si vedeva che non è che fosse andato tanto per il sottile alla ricerca di materiali performanti. Il solo sacco a pelo avvinghiato nel retro della bici era simile a quelli in uso alla nostra truppa comune una trentina di anni fa. La stessa bici , gli era arrivata in ritardo da Budapest via Milano con l'ultimo volo buono per Marrakech. Ma lui intanto non disperava ed aveva già prenotata in un rent a car una di quelle bici dalla linea inglese con ruote da 28 e freni a bacchetta di costruzione indiana. Di quelle da noi comunemente in uso fino agli anni 50 del secolo scorso. Ci avrebbe fatto il raid con assoluta indifferenza. Laszlo , che conoscerò bene a gara terminata è una persona incredibile. Penso spesso che solo in eventi come questo hai la possibilità di incontrare certa gente. Il suo fisico asciutto e possente non riesce a svelarti che sport faccia di preciso.Poi vieni a sapere che questo allegro compagnone sempre pronto alla battuta in almeno 5 lingue oltre che andare in mountain bike è un campione di triatlhon, di quello della serie ironman (non so se sappiate di cosa si stà parlando : 10 km di nuoto, 42 di corsa e oltre 150 in bici ) Questo per tenersi in forma perchè come specializzazione lui è un lanciatore di martello e non di quelli fitness : è nella nazionale ungherese, e li a queste cose ci tengono. Se la cava comunque anche con gli sci o con la canoa. Ora è qui che corre in bici ma sono certo che sarebbe assolutamente normale trovarlo al via di una gara in Alaska alla guida di una slitta tirata da uno stuolo di cani inferociti. Si arrampica pure su pareti di roccia sempre scherzando e ridendo dove invece ci sarebbe da c. sotto!
Il massimo dello show lo ha esibito al souk di Marrakech dove siamo andati il giorno prima della partenza a spendere gli ultimi soldi rimasti.Riusciva a mettere nel sacco nelle trattative i pur abili e smaliziati venditori locali.
Nessun mercante arabo ha tratto un Diran ( moneta locale ) di profitto dai baratti con Laszo Kovacs.


Andiamo avanti quindi di buona lena sotto un cielo di stelle. Siamo sempre intorno ai 2000 metri di altitudine e la temperatura è sottozero di parecchi gradi. Il nostro prossimo obiettivo è raggiungere il terzo controllo. Il posto me lo ricordo bene perchè mi sono fermato a timbrare anche la passata edizione. Solo che allora vi ero arrivato che ancora era luce piena. Si tratta di Agoudal, un villaggio berbero appeso sulle montagne a 2500 metri di quota. Li la pista vera e propria termina e ti ritrovi subito a dover scalare il passo di Tizi n-Quano avanzando su poco più che una mulattiera.Il passo di Tizi n-Quano è a quasi tremila metri di quota. Chissa che freddo deve esserci ora, penso mentre ancora sono sulla pista per Agoudal alle nove della sera. Il freddo ovviamente è una sensazione soggettiva. La temperatura è un fattore fisico ben quantificabile. Codificata per la prima volta da Farhenait la giusta misurazione è stata poi perfezionata da Celsius con la scala centigrada che noi tutti conosciamo. Il freddo (e il caldo ) sono ovviamente invece sensazioni soggettive. A 15 gradi sotto zero un pescatore della Groenlandia o, forse anche un comune abitante lombardo possono a ben diritto affermare di sentir caldo. Il sottoscritto però purtroppo abita in Sardegna in una casa di fronte al mare dove molto raramente il termometro cala sotto i 10 gradi nel rigido inverno mediterraneo. Per noi nativi a Villasimius fa freddo quando siamo costretti ad indossare il mutino smanicato per fare il surf.
Quando finalmente arriviamo alla taverna poco illuminata che fa da unico punto di ritrovo del villaggio sono quasi le10 di sera. Entriamo dentro e subito siamo storditi dal caldo che emana la vorace stufa in ghisa messa al centro dello stanzone. I pochi avventori rimangono impassibili seduti negli angoli a sorseggiare il loro onnipresente the alla menta. L'oste di turno ci porta delle ciotole colme di zuppa marocchina. é talmente calda che devo tenere la ciotola con i guanti. Presto però facciamo il bis e chiediamo anche di portarci delle homelettes. mangiamo tutto avidamente. L'appetito è insaziabile. Gran cenni di assenso dei presenti rimarcano le nostre perfomances. Non ci siamo manco tolti il casco. Stacco il sacco a pelo e mi stendo con i piedi rivolti alla stufa. Raffaele fa più o meno la stessa cosa . é tutto ranicchiato anche lui su di una panca con le gambe appoggiate alla parete. Henry Lesewitz invece sparisce nel retro in una stanza dove puoi buttarti a dormire. Non lo rivedremo più.
Improvvisamente i copriscarpa, causa l'eccessiva vicinanza dei miei piedi alla stufa vanno a fuoco. Spengo il principio di incendio con gesti istintivi ( mi verso addosso un bicchiere del the che stavo sorseggiando ), però il danno è fatto. I bei copriscarpa in Gore Tex, prezioso regalo del mio amico Giuseppe Solla non sono ormai che una patana incollata alle scarpe. Proprio ora che dobbiamo salire a scalare il passo ... penso fra di me sconsolato. Siamo ormai quasi un ora fermi a ripreder le forze che una ventata gelata mi arriva ale spalle. Qualcuno ha aperto la porta .Pallido come un fantasma appare Massimo Bina : é tutto il giorno che pedalo da solo...è la sola cosa che riesce a dire con un filo di voce. (continua )



Al calor della stufa Massimo mi racconta ciò che era più che intuitivo, e cioè la gran fatica affrontata per arrivare fin li. Oltre i km e i disagi del maltempo lui si è dovuto sorbire anche le ansie dell'andar da soli in un territorio sconosciuto senza reali riferimenti.Oltre che provato non sta tanto bene. Va in cerca delle spartane toelettes del locale. Con Raffaele ci diamo uno sguardo.Lui è tutto dentro il suo sacco a pelo e si vede che stà benone così."E se ora prende e va ?" gli domando. Verzella con tono pacato non tradisce incertezze : "dove vuoi che vada da solo li in mezzo ". Con una smorfia accenna alle montagne piene di neve fuori che ci aspettano. Per come la vedo io , controbatto, Bina potrebbe invece anche filarsela magari in groppa ad un asino, hai visto quanti ne abbiamo incontrati ...sai quanta strada riescono a fare queste bestie qui in un paio d'ore. Magari trova il mulo buono ed allora si che ce lo dobbiamo scordare." Sei il solito sardo diffidente.. ", mi obietta Raffaele.
Capisco che è indeciso per cui taglio corto : non vorrai invecchiare dentro quel puzzolente sacco a pelo ? vieni via di lì e prepara le tue cianfrusaglie..
Dal retro arriva solo il sordo ronfare del tedesco, poi ecco riapparire Bina. Come previsto Ci comunica subito che è deciso ad andar avanti. "Vado piano quasi a passo d'uomo .. non preoccupatevi per me", ci dice come in preghiera... Non ti preoccupare Massimo, andiamo via anche noi, ci stavamo già stufando di stare qui a fare la muffa, saliamo su insieme, qualsiasi cosa succeda rimaniamo insieme a fare il valico". Prese ognuno le ultime cose lasciate ad asciugare intorno infiliamo la porta e usciamo fuori. L'aria è freddissima ma il cielo è terso e splendente . La luna troneggia trionfante al centro della volta celeste. Per fortuna non c'è più nemmeno una bava di vento e affrontiamo con ottimismo la temuta ascesa.L'idillio con la natura però è effimero. Siamo appena fuori dal villaggio che di fronte si para una delle consuete pozze d'acqua . Giro ovviamente al largo ma quando mi accorgo che sono su una lastra di ghiaccio è troppo tardi.Ci finisco dentro e nonostante un veloce colpo di reni mi ritrovo mezzo bagnato. Impensabile andar avanti così, mi ritroverei a congelare in un attimo. Per cui dietro front e via di nuovo nella locanda lasciata solo pochi minuti prima.
Tolgo gli indumenti ormai compromessi : la salompette è inservibile, per fortuna ne ho un altra di scorta, anche scarpe e calze sono fradici, Massimo me ne dà un paio asciutte e mi salva. Una strizzata al resto di fronte alla stufa e quindi nuovamente via, consci una volta di più di come l'imprevisto sia sempre in agguato. fatte poche pedalate ecco un altro guaio. Nei pochi minuti all'aria l 'acqua che ha bagnato la bici nella scivolata è nel frattempo congelata bloccando tutte le parti meccaniche e di scorrimento tranne catena e ruote. E' come se avessi un insieme di componenti termosaldati fra loro. Non si muove e funziona nulla ,cambio, freni , deragliatore. A fatica riesco a mettere la catena nel rapporto più agile e lo lascio così. Riuscirò a risbloccare lentamente il tutto solo alcune ore dopo, una volta scollinato, nei sucessivi tratti in discesa. Risaliamo quindi lentamente. Abbiamo le luci spente : per la velocità che abbiamo il chiaror della Luna basta e avanza. Dopo una decina di km. ci ritroviamo in una specie di altopiano, poi la carrareccia riprende a salire decisa.C'è neve e ghiaccio dappertutto. Precedo Raffaele di qualche decina di metri . Lui ha preoccupanti problemi alle mani : non le sente più per cui ad intervalli regolari ci si ferma e gli friziono con forza le dita intorpidite. Intanto aspettiamo Bina che ora sembra messo male in arnese. Sale infatti molto lentamente a piedi. Daltronde non c'è da stupirsi. Mentre io e Verzella ci siamo fermati e rifocillati per almeno alcune ore lui è arrivato fin qui dopo aver vagato tutto il giorno per mezzo Marocco praticamente senza interruzioni. E' quindi ammirevole la tenacia e la volontà che dimostra. Senza dubbio il fatto di ritrovarsi in compagnia lo aiuta ad andare avanti. E' molto stanco e tarda un pò ma non si lamenta affatto.Quando le rovine del rifugio posto al valico finalmente appaiono tiriamo un mezzo sospiro di sollievo anche se ora dovremo vedercela con il freddo pungente che ci aggredirà non appena prenderemo un pò di velocità in discesa. Il termometro dell'orologio di Raffaele segna meno 10gradi. Ovviamente non siamo dei pivelli e ci prepariamo di conseguenza : su tutto il vestiario che abbiamo dietro e visto che non può bastare, soprattutto nelle mani e ai piedi ci infiliamo le provvidenziali buste in plastica , per intenderci quelle della spazzatura.Chi almeno una volta ha fatto L'IRON BIKE se le porterà sempre dietro nella vita quando andrà in bicicletta. E tutti e tre, magari con risultati diversi ,siamo veterani di quella corsa allucinante...
Come fantasmi in una notte stregata ci lasciamo andare per gli sconnessi tornanti che quardano a valle. Le soli luci visibili sono quelle delle stelle. Le guglie dei monti in lontananza fanno da cornice alla terra che ritorna. Noi ci stiamo tuffando verso la zona più oscura di questo universo. A scender giù mi sembra di lasciare qualcosa. Sono avanti un centinaio di metri per non essere disturbato dall'ombra proiettata dai fari di chi stà dietro. Fosse per la ridicola luce di Raffaele non ci sarebbero problemi, e infatti lui scende appaiato con Bina che invece ha un impianto alogeno di tutto rispetto. Potente e regolabile, soffre però l'incognita della relativa poca durata per questo tipo di gare. :con la batteria di scorta Massimo può arrivare a circa 8 ore di autonomia. Un pò poche per due notti consecutive da 13 ore l'una. Anche risparmiandole in salita e e sul liscio.Dopo un ora di discesa più o meno impegnativa l'aria comincia ad essere più calda e la strada meno sconnessa. Incrociamo frequentemente silenziose carovane di animali carichi di indefinibili mercanzie. Altre le intravedo in lontananza, lungo evanescenti sentieri. Scivoliamo poi dentro villaggi che sembrano abbandonati da secoli. Eppure la traccia quotidiana dell'uomo è sempre presente.I fari di un fuoristrada che ci raggiunge da tergo sembrano fortissimi. I nostri occhi si sono abituati a leggere la minima traccia nell'oscurità , dopo tante ore passate a vagare nella notte. Ci appare il redivivo Maurizio Doro ,affacciato da un finestrino laterale ci squadra con la sua telecamera , felice di saperci ancora sani e salvi. Ci fermiamo sul ciglio della strada e il pulsare ovattato del 4 cilindri Perkins del Land rover è il primo rumore che sentiamo dopo tanto tempo." Abbiamo scollinato il tuo monte del cavolo alle due di notte, non ci siamo nemmeno stancati troppo" dico ironico a Maurizio ". " la prossima edizione cerca di scovarci qualcosa di più impegnativo perchè finisce che qui ci si annoia ! "Raffaele sghignazza e approva.
Doro sparisce in una nuvola di polvere e noi continuamo nella notte su una pista che si infila fra tavolati di sassi e radure incastonate negli onnipresenti rocciai di origine vulcanica. Ogni tanto attraversiamo sperduti villaggi .Il ritmo della vita qui deve certamente essere segnato da attività che sono simili da centinaia d'anni. La fantasia ti riporta ad immaginare scenari per noi dimenticati da secoli. Lungo le vie buie di questi villaggi ogni tanto ti pare di scorgere qualcosa che si muove ogni tanto. Piu che persone ti sembrano ombre che si stagliano un attimo da un angolo incerto o un vicolo oscuro e poi scompaiono.Avvolti nei loro scuri mantelli di orbace con calato il caratteristico cappuccio questi figuri fanno veramente impressione, scivolano impalpabili e silenziosi nella notte. Se avessimo qualche indicazione certa su dove sia Ait Timgoute , il punto di controllo che dobbiamo raggiungere ci sentiremmo sicuramente meglio. Il rood book qui è un pò difficile da interpretare, ci sono vari villaggi e non vorremmo sbagliare un bivio. L'uomo avvolto nel mantello scompare furtivo come passiamo in mezzo a quattro case. La zona è molto tetra e l'impressione è che a fermarsi qui potresti prenderti tranquillamente una coltellata di qualche predone. Raffaele però non ha esitazioni , vuole chiedere numi e va a cercare l'uomo solo intravisto. Lo trova girando un angolo e gli chiede la giusta direzione per il luogo che ci interessa. Questi si solleva il bavero e con un francese fluido e tintinnante ci conferma che siamo nella giusta direzione , ancora sette km e ci siamo. Bina intanto stenta sempre più ad arrivare e dobbiamo fermarci spesso ad attenderlo. Quando le luci fioche di Ait Timgoute si defilano poco più avanti non ci resta che cercare la taverna dove è disposto il controllo. La troviamo subito . Con il motore ancora caldo, è parcheggiato di fronte il Land di Doro. Entriamo con le bici nell'angusta stanza e ci sprofondiamo delle grezze sedie intorno ad un tavolo. Maurizio è li ad aspettarci. Beviamo il solito thè bollente e cominciamo a mangiare da una grossa portata di legumi e carne che ci ha preparato l'oste, avvertito del nostro arrivo da Maurizio. Siamo più stanchi che affamati, sono quasi le sei del mattino per cui è quasi 24 ore che siamo in sella. Decidiamo di buttarci su un pagliericcio che è sopra la locanda e di riposare almeno un ora. Così come siamo, pieni di polvere e con le scarpe addosso ci addormentiamo di sasso. Alle sette, un ora dopo è Raffaele che da la sveglia a tutti. Non è così semplice : ma una buona pedata risveglia anche l'ultimo assonnato ( continua ) .




L'aria è frizzante ma il cielo è limpidissimo. Il clima invernale che ieri ci ha fatto tribolare è già un ricordo sbiadito. Ci immettiamo di buona lena lungo la strada principale che dirige verso le gole di Dades, una zona rinomata con le sue caratteristiche montagne color ocra, che scendono a incunearsi fino al greto dell'omonimo fiume che trasforma in una moltitudine di colori la strettissima valle adiacente. Qui prospera una particolarissima agricoltura . Ogni lembo di terra utilizzabile è sapientemente sfruttato con la formazione di una sorta di terrazzamenti che fanno di questi luoghi delle vere e proprie oasi di montagna. Tutto intorno infatti poi non c' è che un interminabile susseguirsi di roccie e pareti nude prive di qualsiasi vegetazione. Il color ocra che contraddistingue questa regione la fa assomigliare ai famosi monumenti di roccia dell'Arizona. I villaggi si vedono con difficoltà, mimetizzati in punti strategicamente imprendibili. Segno che in questi luoghi in tempi neppure tanto lontani la conquista non doveva essere cosa semplice. Boumaine-Du-Dades, Il prossimo punto di controllo è a circa una settantina di km. Ma di questi decine sono in discesa e quindi non dovremo metterci tanto ad arrivarci. Filiamo giù senza fatica. La strada è quasi sempre in pendenza. Siamo immersi in scenari dai colori intensi e carichi di particolari che meriterebbero ben più della nostro fugace passaggio. Quell'ora di sonno mi è stata sufficiente per ricaricarmi di energie ma un maligno fastidio mi accompagna gia dalle prime pedalate di questa mattinata.Sarà stato il freddo o una botta non avvertita al momento, fatto sta che ora sento un forte dolore nel ginocchio sinistro,all'altezza dei tendini dei muscoli che si inseriscono esternamente ad esso. Se provo a spingere sul pedale in fuorisella una fitta di dolore mi fa perentoriamente desistere. L'unico modo di pedalare è farlo in agilità da seduti. Proprio come meno mi piace. E spingendo ovviamente solo con la gamba rimasta buona, con quella dolorante posso solo accompagnare il movimento rotatorio.Non mi dò briga di dirlo ai miei compagni di viaggio. Anche perchè comunque riesco ad ottenere un ritmo che mi permette di stare sempre avanti di diverse centinaia di metri, infatti ogni tanto rallento e aspetto.Quando entriamo nella cittadina di Boumaine-Du-Dades riconosco subito , nonostante il convulso via vai dell'ora di punta del prospicente mercato ,il piccolo hotel dove è basato il controllo. Mi è familiare perchè è lo stesso dell'anno scorso. la passata edizione però vi arrivammo a notte fonda. Tutto il panorama ammirato venendo fin qui me lo persi allora.Il sole è alto e finalmente, per la prima volta da quando sono partito dalla Sardegna risento la piacevole sensazione del caldo. Ci sediamo fuori intorno a un tavolo che guarda alla strada. Il proprietario del locale ci porta subito delle omelettes e della verdura. Ci mangiamo tutto con vorace appettito dopodiche intergro ancora dando fondo alle porzioni di Speeck e di grana padano che tenevo accucciate nel capiente gavone della bici. Ne offro anche agli altri, compreso Maurizio Doro nel frattempo sopraggiunto a bordo del suo ormai familiare fuoristrada.
Gia che c'è chiediamo informazioni sugli altri concorrenti. I più vicini sono però a svariate ore di distacco. Sebastiano Favaro aveva abbandonato il controllo prima del passo di Tizi-n -Quano intorno alle due di notte. Chissa dove sarà ora.. E l'ungherese ? chiedo all'improvviso: era dichiarato tra i favoriti di questa corsa..
Maurizio con tono divertito ci spiega: "Oh, Latszo è tutto matto..." In breve, il nostro campione,quando è arrivato per scalo tecnico a Milano si è letteramente invaghito di una fotocamera digitale della Nikon.L'ultimo modello più sofisticato. Pagatala una fortuna, lo avevamo notato che si baloccava con questa in continuazione prima del via, ora scattando immagini ora sfogliando fugacemente il libretto delle istruzioni. Mi ricordo che distrattamente mi posi la domanda di quale lingua leggesse per consultarsi . Ebbene Kovacs lungo l'itinerario non faceva che fermarsi a immortalare qualsiasi cosa che fauna, flora o paesaggio locale destasse il suo interesse. Dimentico della corsa era rimasto addiritura fermo quasi un ora a documentare le varie fasi dell'accoppiamento di un raro coleottero autoctono. Ci sarebbe rimasto anche di più se la cosa fosse andata ancora più per le lunghe... (continua)
Anticipati da Maurizio Doro che va via con il Land di appoggio a farci da apripista verso il sucessivo controllo ci imettiamo quindi nell'asfalto che correndo in piano per una trentina di km ci porta quidi all'inizio della pista che risalirà fino al passo di Tizi-n' Tazazert .Lungo questa vi sono numerose umili abitazioni , sparse solitarie anche a centinaia di metri dalla sede stradale.Avvistato l'insolito passaggio delle bici frotte di bambini di ogni età corrono a perdifiato per colmare la distanza e cercare di intercettarne il passaggio. Se raggiunto, vieni seguito per un bel pò con la monotona richiesta del tipo: " monsieur un stylo s'il vous pait ...." e cosi via. Se sei sfortunato puoi prenderti una sassata (come è capitato a Raffaele ).Per evitar noie accelero un pò l'andatura e il risultato è che spesso non riescono ad intercettarmi , va da se che quindi restano appostati ad attendere i due dietro. Finalmente il sole la fa da padrone e a metà salita tolgo la maglia e pedalo a torso nudo, nonostante si cominci anche a risalire di quota. All'inizio stiamo ancora insieme ma poi, anche per verificare lo stato del ginocchio che sembra dar meno fastidi allungo sempre senza forzare. Il risultato e che dopo pochi minuti mi ritrovo qualche km avanti i miei compagni di viaggio. Mi fermo a uno scollinamento dove Doro ci attende per fare qualche buona ripresa.
"Perche ti fermi ad aspettarli.... mi dice mentre scatta anche qualche foto, " fossi al posto tuo me ne andrei da solo a fare un tempo da record !."
" Ma va Maurizio... sei un boyscout, hai il cuore buono, non lasceresti mai soli i tuoi compagni..., gli rispondo prendendolo un pò in giro. E poi, vedendola da agonista che cosa ci guadagno ad andar via per conto mio ?. Tanto, lo vedi anche tu, ho il randello più grosso, posso andarmene via quando voglio, anche un km. prima dell'arrivo. Chi vuoi che possa star dietro se mi metto a tirar per davvero ?.
Il ragionamento non fa una grinza. Mi basta controllare e stare comunque davanti, anche se in compagnia. Se me ne vado solitario allora si che , per uno svarione di percorso o qualcos'altro le cose potrebbero mettersi male per me, come già accaduto in passato in questo genere di corse.
Raggiunto finalmente il passo di Tizi- n'Tazazert inizio la picchiata verso valle. I seguenti quasi venti km saranno un interminabile serie di tornanti a scendere con un fondo duro e sconnesso. Devo driblare in continuazione sassi grossi come noci di cocco, crepe maligne che vedi all'ultimo momento e rocce aguzze pronte ad appiedarti con una gomma squarciata se non ci passi al largo.Insomma, bisogna stare attenti e non distrarsi mai. Con sollievo, dopo più di mezzora di dura downhill entro finalmente nella pista ormai in piano e poco dopo raggiungo il punto di controllo. Mentre attendo i miei compagni dò una controllata al mezzo. Negli ultimi km. di discesa avvertivo una vibrazione sospetta. E infatti il portapacchi posteriore d'alluminio s'è rotto in due punti. Non ha resistito alle torture della discesa prolungata. Non mi perdo d'animo e armato di fil di ferro e nastro adesivo che previdentemente mi sono portato dietro riesco a rimetterlo in condizioni accettabili per quel che deve fare. Per non stressarlo oltre ne allegerisco il carico distribuendo parte dei materiali fra zaino e gavone centrale. Nel controllo generale mi accorgo che si è rotta pure la tasca laterale del gavone dove avevo le mandorle tostate al forno, e queste sono quindi volate via strada facendo. Faranno la gioia dei sicuramente numerosi cinghiali della zona, che se hanno gli stessi gusti di quelli sardi, ne andranno letteralmente matti.Da noi ne basta una buona manciata (e una cartuccia cal.12 a palla ) per tornare con un esemplare in spalla a casa. (quando racconto queste cose a Doro lui diventa triste... ) Intanto anche Verzella e Bina arrivano.
Nella mezzora di sosta durante la quale mangiamo gli avanzi di cibo ormai farciti dal lungo viaggio facciamo il punto della situazione. Conveniamo che bisogna sfruttare al massimo la luce del sole, ne avremo ancora per quasi due ore. Arrivare al successivo punto di controllo che sta ad una settantina di km non dovrebbe dare grosse difficoltà di orientamento.Il plateau sconnesso che ci divide da Nekob, antica fortezza berbera posta a mezza strada ce lo ritroveremo a dover percorrere quindi senza l'ausilio dei fari. E questo è un gran bene perchè anche se apparentemente liscia e monotona la pista è sempre in pendenza e quindi si viaggia a velocità sostenute. Facile rimaner traditi da un ostacolo improvviso.



Ripartiamo quindi con l'idea di arrivar il prima possibile al prossimo punto di controllo, posto nei pressi di Imi n' Kern, localita rinomata per il particolare formaggio fatto con una mistura di latte di capra prefermentato con metodi tradizionali.Secondo un mio conoscente questa zona conoscerà a breve un vero e proprio boom turistico per cui se siete in vena di arditi investimenti non avete che da andare ad aquistar casa da quelle parti. Per ora è solo deserto spazzato dal ghibli per maggior parte dell'anno, però come ben si sa i migliori affari si fanno sempre solo se si è di larghe vedute... Come preventivato raggiungiamo velocemente e senza fatica Nekob e facciamo solo gli ultimi 25 km. che ci separano dal controllo con l'ausilio dei fari. Arriviamo infatti verso le sette di sera. Col calar del sole anche l'aria ha rinfrescato. Niente a che vedere però con le temperature polari affrontate nelle ore passate a vagare nell'alto Atlante. Siamo in uno degli accessi al deserto di Zagorà. Davanti a noi un immenso plateau di sassi e sabbia. Piste che si intersecano e villaggi di poche case ogni tanto. Niente di meglio per infilarsi nella traccia sbagliata e perdersi nel buio della notte.Il posto di controllo non è che la presenza di uno dei fuoristrada dell'organizzazione. Tutto intorno non c'è nulla . Eppure vi si è radunata intorno una piccola folla di sfaccendati provenienti dal buio circostante. Decidiamo, prima di continuare per quella che sarà certamente una zona difficile da attraversare, di riposare un pò per riordinare le idee. Chiedo ai locali presenti se c'è modo di star al riparo da qualche parte per un pò. Uno a cui manca un occhio annuisce e ci fa segno di seguirlo. Ci porta in un locale in costruzione sito su una collina nei pressi della pista. Entriamo e il caldo mantenuto dai muri esposti al sole fino a poco prima ci da subito conforto. Per terra c'è di tutto ma non è certo il caso di fare gli schizzinosi. Con la banconota che gli allungo avrei potuto sicuramente pagarmi una notte in un albergo di classe qui in Marocco. mentre riposiamo qualche minuto stesi nei sacchi a pelo l'uomo ricompare poi con un pezzo di pane , una manciata di datteri rinsecchiti e una caraffa di thè bollente.
Il thè come sempre risulta essere un ottimo corroborante, ed inoltre è un toccasana per le nostre gole rese rinsecchite e doloranti dagli strapazzi climatici. Quanto ai datteri si vede che l'uomo ha attinto con generosità dal sacco di quelli destinati al suo asino. Dopo averne assaggiato uno glieli lascio e anzi gli offro una manciata della mia uva passa, così giusto per dargli l'idea di cos'è il cibo per cristiani...Raffaele è steso dentro il sacco a pelo nella sua consueta posizione con le gambe appoggiate al muro. Massimo Bina non c'è. Per risparmiare sul peso non si è portato dietro il regolamentare sacco a pelo per cui si deve arrangiare all'interno del fuoristrada fermo a fare il punto di controllo, alcune centinaia di metri indietro. Dentro la baracca la tenue luce di posizione di una bici lascia intravedere i profili delle cose. Avvolto nel mio sacco a pelo metto un pò di ordine nei bagagli e faccio l'inventario delle provviste rimaste.Ho ancora a disposizione una tavoletta di cioccolato, circa un etto di grana, un pugno di uva passa e per fortuna una vigorosa razione di mandorle infornate.Per i 170 km. rimasti da fare non contavo di avere ancora tanta abbondanza di cibo.Poi c'è pure il pezzo di pane dell'arabo, duro si ma commestibilissimo.
Una folla di bambini infilatisi silenziosi sono seduti da una parte della stanza e ne intravedi solo gli occhi e le ombre.
Con Raffaele pensiamo a come affrontare le piste che ci aspettano nella notte di questo deserto di sassi. Ora che lo osservo noto i segni della stanchezza nell'espressione del suo viso. Anche la voce è roca e giù di tono. Dalla sacca prendo lo specchietto del materiale d'emergenza e mi osservo :lo rimetto subito via, sono molto più brutto del solito...
Parliamo delle prevedibili difficoltà in agguato. Il nostro futuro ora è tutto in quel deserto che ci aspetta. Già l'anno scorso proprio da queste parti avevamo avuto più di un problema d'orientamento. Ed era pieno giorno con una visibilità eccellente. Bisogna andar prudenti, con calma osservando attentamente tutte le note del rood book e scovare quante più indicazioni che presumibilmente Maurizio Doro avrà lasciato sul terreno. Raffaele dà una controllata al suo Garmin. Gli chiedo che distanza segni al prossimo controllo ma lui scuote la testa :... Doro non ha inserito le coordinate per il controllo n. 8.... Però posso dirti che ci troviamo esattamente a 2435 km. dal giardino di casa mia a Spotorno!
Sistemo meglio il ciclocomputer e mi studio il book relativo ai prossimi 40 km. Poi si vedrà.
Con l'olio balsamico 31 mi massaggio il ginocchio che mi ha dato diverse preoccupazioni. Al dolore lancinante delle prime ore del mattino ora si è sostituito un molto più rassicurante fastidio. Pian piano le cose si stanno sistemando da se. Un pò dello stesso olio lo destino a lubrificarmi la catena, ormai pericolosamente secca. Trenta gocce sono più che sufficienti per donarle la giusta fluidità. Verso le otto decidiamo di muoverci. Bina ricompare come accordatoci precedentemente e con rinnovato spirito entriamo nella pista che conduce al villaggio di Tafefchna, venti km dentro il deserto, ridossato su un imponente ouad quasi sempre in secca. La presenza di questo sperduto agglomerato è giustificata dalla presenza dell'acqua che infatti rende possibile la coltivazione di vari cereali e di diverse varietà di legumi. Lo stesso centro abitato cavalca un immenso Oued, che ormai rappresenta solo un lontano ricordo in cui qui le pioggie erano molto più frequenti. La pista che abbiamo imboccato va dritta con cap a 170 gradi. Siamo diretti quindi verso sud. Viaggiamo in pianura ma non possiamo dire di andare velocissimi. La tole ondulè provocata si vede dal passaggio dei mastodontici Berliet da 50 tonnellate ti fa saltare da tutte le parti. Cercare traiettorie più favorevoli sono soltanto un palliativo. Dopo circa un ora piombiamo nel villaggio completamente buio e con le strade deserte. Qualche sparuto cane si aggira diffidente , altri ululano in lontananza. La luna è alta nel cielo e nelle varie tonalità argentate è possibile intravedere l'immenso panorama con le montagne che si stagliano in lontananza. Non si vede una luce a perdita d'occhio.
Nel dedalo di strade di questo villaggio perdiamo un sacco di tempo a trovare la pista buona per Zagorà. In questo punto il rood book e poco chiaro. Una nota risulterà palesemente errata ( a destra invece era a sinistra ) e ci metteremo del bel tempo a ritrovar il bandolo della matassa. Raffaele Verzella, da buon geometra è il più lesto a intuire la giusta direzione e di li a breve ci ritroviamo nella rassicurante ( perchè fatta l'anno prima ) pista per Zagorà . Io e Raffaele qui ci passammo intorno alle due del pomeriggio mentre Bina ci arrivò la notte sucessiva ed infatti perse l'orientamento con l'allora compagno di avventura Vincenzo Martini. Arrivarono a Zagorà ma dopo varie peripezie.
Andiamo avanti con le note del book che indicano monotoni tratti di pista lunghi decine di km.Perdo sangue dal naso a causa degli sbalzi termici patiti e risolvo la cosa tamponandomi le narici con un fazzoletto di carta. Mi tocca respirare con la bocca : sai che sollievo per la gola già martoriata ! E' quasi mezzanotte quando abbiamo percorso una ottantina di km dall'ultimo controllo. La temperatura dell'aria è abbastanza gradevole nonostante siamo comunque a circa mille metri di altitudine. E' da un pò che cerchiamo il conforto visivo di qualche segno tangibile che siamo sulla la pista giusta.Ed eccoci infine apparire dal nulla Maurizio Doro in persona. In realtà siamo finiti in un piccolo villaggio e lui ci ferma subito : non possiamo continuare oltre al buio. La gendarmeria locale, allarmata da questo vagare notturno di gente nel deserto in bicicletta, ritenendolo pericoloso ha diffidato l'organizzazione di fermare la corsa finchè non avesse fatto alba. Presi i tempi quindi il buon Maurizio ci accompagna in un locale dove possiamo dormire in attesa della partenza, stabilita per le cinque del mattino sucessivo. A noi la cosa non dispiaceva affatto...




E' Maurizio che ci dà la sveglia. Ha dormito assieme a noi anche lui steso sul pavimento di questo magazzino e ora prepara le sue cose da caricare sul fuoristrada. Degli altri partecipanti al raid ancora nessuna traccia. E' ancora buio fuori quando ci rimettiamo in sella per fare gli ultimi conclusivi novanta km . di questa avventura.
Per un oretta andiamo molto piano fermandoci continuamente per verificare che non stiamo sbagliando strada : fra bivi e piste che si incrociano abbiamo da interpretare note del rood book che variano anche ogni poche centinaia di metri.
Poi , ecco il levarsi del sole. Ci appare alle spalle proiettandoci lunghissime ombre e saturando rapidamente di colori lo scenario che ci circonda. Con la luce del nuovo giorno tutto ci sempra finalmente più semplice.
La pista che si defila davanti è veramente affascinante. nello sfondo alla nostra sinistra si intuisce la profonda depressione formata dal passaggio millenario dello Oued Draa Lungo questo oued si succedono, quasi senza interruzioni fra loro dei lunghi palmeti. La striscia verde che li contraddistingue va in ampio contrasto con l'asprezza delle montagne rocciose circostanti. Sugli argini del fiume che bagna queste oasi si coltiva di tutto. dai cereali ai legumi, all' hennè. Poi vi sono tantissimi alberi da frutto e , su tutto si ergono maestose le palme che producono i datteri boufeggous . Tutto intorno a queste oasi sono state innalzate in passato una serie di Kosour.Questi villaggi fortificati fanno impressione perchè sono costruiti con la rossa terra che caratterizza la zona.Lo stile è inconfondibile :le case hanno il tetto a terrazza e i muri esterni sono decorati con disegni e graffiti. Certe costruzioni, certamente pensate come roccaforti di difesa hanno la grandiosità di una cattedrale. E sono fatte tutte in terra battuta. Mentre pedalo incrociando questi spettacoli non posso fare a meno di osservare che anche la mia bici, carica della polvere del deserto, ha ormai assunto le tonalità di questo ambiente. E ' un pò che avanziamo su questa pista che ora ci avvicina ai palmizi, ora ci rimanda verso le desolate montagne limitrofe. Bina tarda e lo aspettiamo a piè fermo.Arriva tutto preoccupato per le condizioni della sua trasmissione. E' molto secca e ha il terrore che si possa rompere proprio ora , che siamo quasi alla fine. Il mio olio 31 l'ho terminato nell'ultimo massaggio al ginocchio. Preso dal panico Massimo versa sopra catena e pignoni l'acqua della sua unica borraccia. Il risultato è che da li a breve la catena riprende a scricchiolare più di prima ed inoltre lui si ritrova senza un goccio d'acqua.Alla fine ci riavviciniamo in un oasi. Qui una squadra di muratori stà lavorando a tirar su un muro.La tecnica è semplice ed efficace. Alcuni innaffiano con l'acqua e impastano un cumulo di terra locale mischiandola con della paglia. Uno riempie delle dime di legno che fanno da stampo per formare dei mattoni che, cosi ancora crudi vengono dagli altri messi in posa utilizzando come collante sempre il medesimo fango. Il muro viene su via che è una meraviglia. Tutto cio che vediamo è daltronde costruito così.
Sperando d'essere aiutato Massimo va incontro agli operai cercando di farsi capire a gesti. Purtroppo lui non sa una parola di francese e il tentativo di spiegare che gli serve dell'olio per la catena comincia ad andare per le lunghe. Gli arabi pensano che lui voglia barattare la bici con qualcosa..., io e Raffaele siamo defilati sul ciglio della strada ma vedendolo in palese difficoltà, e anche perchè comincia a far tardi il ligure di Spotorno va a tradurre la richiesta del compagno. Gli operai ridono , chissa cosa avevano creduto prima, quindi uno va via per tornare subito dopo con una latta di petrolio di quello in uso per le lampade. In breve quindi la trasmissione della bici viene rigenerata ma, siccome in Africa non si fa nulla per nulla, viene subito chiesto a Bina il dovuto compenso.Questi non sa bene come comportarsi.La moneta che ha è in banconote da 200 Diran (circa 20 euro ). Un pò troppo per qualche goccia di petrolio, anche considerando il rincaro di quest'ultimo e la situazione contingente. Cerca quindi di sdebitarsi offrendo loro l'ultima barretta energetica rimastagli ma questo gruppo di operai ora diventati seri la disdegnano : vogliono soldi.....
Alla fine Massimo Bina fa l'unica cosa razionale che possa smuovere l'impasse : gira la bici e scappa seguito a ruota da noi che cominciavamo ad essere impazienti.
La pista è in pianura con leggero falsopiano. Impensabile un inseguimento con gli asini,Bina è imprendibile.
Continuamo cosi per la pista ammirando il verde paesaggio che ci accompagna a lato. Ci ritroviamo sovente dentro abitati dallo stile medioevale. Nei villaggi la vita ora è tutto un variopinto movimento. Pittoresche le donne che portano in giro bestie cariche di prodotti dei campi e altro. I bambini scorrazzano liberi dappertutto e devi fare attenzione specie negli attraversamenti di questi piccoli centri.
ILTHE' NEL DESERTO
Alla fine Raffaele si avvicina e mi dice : Vittorio ormai stiamo per arrivare, cosa facciamo per la classifica della gara ?.
Rispondo che forse è il caso di fermarci e discutere la faccenda , mancano ancora solo una quarantina di km ed è chiaro che non possiamo andar oltre cosi in spensierata compagnia.
Decidiamo di fermarci dove la pista sale su di un promontorio. Da li osservi tutto il lavoro pacato e silenzioso che si stà svolgendo nella ricca oasi più giù a valle.Raffaele toglie dalla sua sacca il fornellino Coleman e con gesti semplici comincia a preparare una tazza di thè alla menta. Io intanto mi slaccio le scarpe . Sono ormai più di due giorni che che ce le ho ai piedi ininterrottamente. Mi massaggio le dita ancora intorpidite dal freddo patito in alta quota. Per fortuna il fastidio al ginocchio è completamente svanito. Mentre mangiamo le ultime cose rimaste Verzella pone quindi il quesito dell'arrivo.
Cosa vuoi Raffaele, ci siamo consumati per un paio di giorni vagando giorno e notte per mezzo Marocco tutti e tre insieme. Daltronde però un vincitore alla fine bisogna che salti fuori. Per me direi di continuare comunque insieme fin quasi all'arrivo, poi facciamo una volata e amen.... chi arriva primo vince.Siamo rimasti assieme finora, tanto vale continuare così, o avete voglia di sgranchirvi le gambe e di tirare già da ora ?
Per carità !! Interviene il buon Bina, per me va benissimo così, sono felicissimo di essere nel gruppo dei primi tre all'arrivo, per me è un grande orgoglio... Anche Verzella annuisce sulla soluzione finale, quindi riprese le nostre cose ci mettiamo in viaggio di buon passo verso Agdz, alla meta finale.
Lungo le piste finali ogni tanto allungo per conto mio. Ne aproffitto per fermarmi e fotografare gli inconsueti paesaggi che si aprono tutto intorno.
Negli ultimi km in asfalto Massimo si vede che è molto provato . E' da ieri che mangia poco ed è ammirevole come comunque vada avanti senza un lamento. Alla velocità di 20 km ora entriamo insieme finalmente ad Agdz. In centro è giorno di mercato e c'è tantissima gente che gira dappertutto. Un cenno ai miei compagni e allungo via nell'ultimo km. Sia Raffaele che Massimo non accennano neppure ad un tentativo di sprint. Doro è al traguardo a salutarmi. Un momento dopo arrivano Verzella e Bina abbracciati come due che si sono dichiarati amore eterno. Maurizio li dichiarerà secondi ex-equo.
In verità poi faremo altri due arrivi, ma per esigenze fotografiche. (continua commento finale )